Guzzi V7 Brambilla

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LA REGINA DI MONZA

 
Storia di una Guzzi che dettava legge sia in pista che nelle “tirate” domenicali tra un gruppo di appassionati


di Fabrizio - Classic Farm Motorcycles (BS)


La regina cui si riferisce il titolo non è una signora di nobili natali, ma una Guzzi 750 che si è meritata il blasone nei primi anni settanta, aggiudicandosi varie competizioni sulla pista brianzola guidata personalmente da Vittorio Brambilla, che l’aveva sottoposta a una radicale elaborazione nella propria officina, posta proprio a due passi dal circuito. Il grande pilota monzese, protagonista anche di una vittoria in Formula 1, in quel periodo la utilizzava spesso nelle gare per derivate di serie ma anche per le  “tirate” domenicali con un gruppo di smanettoni locali, in sella ad altre Guzzi, a una Laverda SFC e alle prime maximoto giapponesi. In entrambi i casi, la Sport modificata si faceva valere, uscendo quasi sempre vittoriosa anche dai confronti che si tenevano nel fine settimana sulla mitica Serravalle. Lo stupendo telaio disegnato da Lino Tonti, assecondava la guida decisa e efficace di Vittorio, le cui sfide senza esclusione di colpi col fratello Ernesto divennero leggendarie. In mezzo a tante V7 col telaio impropriamente verniciato di rosso per imitare quello in cromo-molibdeno della prima serie, questa è probabilmente l’unica ad aver subito un processo inverso. Del resto, aggiornare una moto con i componenti e la carrozzeria del modello successivo, a quei tempi era una pratica molto diffusa.






Collaborando  con il reparto corse di Mandello, Brambilla poteva avvalersi di parti speciali e dell’esperienza di Bruno Scola, oltre ad attingere - come vedremo - anche alla tecnologia delle auto da corsa. In base ai numeri di telaio, questa moto nasce nel 1969, ma viene immatricolata direttamente dalla stessa Moto Guzzi solo due anni dopo. La cosa non è poi così strana, considerando che nel frattempo viene utilizzata per gare e sperimentazioni, tanto che stando al libretto la cilindrata dovrebbe essere quella canonica di 748 cc. e le due ruote a raggi provviste di altrettanti freni a tamburo. Niente di più errato, visto che come risulta anche dalle foto pubblicate da una rivista dell’epoca, la special allestita dai focosi fratelli brianzoli, oltre che di un motore “pompato”a dovere viene  dotata di ruote in lega, tre freni a disco, una sella in pelle che segue la linea del parafango e, successivamente, di una carena integrale scomponibile e un caratteristico scarico due in uno sul lato sinistro. Non a caso, per quanto riguarda le ruote e i freni si tratta dei componenti che tempo dopo andranno ad equipaggiare con poche modifiche la Le Mans 1, di cui la moto rappresenta in pratica una pre-serie. Una ulteriore conferma arriva da altri particolari comuni, la cui datazione è comunque antecedente alla messa in produzione del Le Mans. Dal punto di vista estetico, il propulsore differisce dal 750 standard per la coppa olio maggiorata e i grossi PHF36 dotati di cornetti liberi e corti collettori in gomma.







La presenza dei collettori di scarico con la ghiera avvitata, invece che fissata con due prigionieri, denota però l’appartenenza alla prima serie dello Sport, al pari del cambio con comando posto sul lato destro. In configurazione “nuda”, ma già con il nuovo impianto frenante, privato del sistema integrale, questa V7 vinse una accesa sfida con una Kawasaki H2R “quasi da gran premio”, proprio sul velocissimo circuito “stradale” di Monza. Il fatto che la Guzzi, oltre che in curva com’era prevedibile, prevalesse anche in rettilineo, fruttò al suo pilota un reclamo per sospetta maggiorazione della cilindrata da parte dell’incredulo avversario, il romano Perrone. Piuttosto che farsi aprire il motore, Brambilla caricò imbufalito la moto sul furgone e venne automaticamente squalificato. Il sospetto perciò era destinato a rimanere tale per parecchio tempo. Nei primi anni ottanta, diversi passaggi di proprietà non intaccano la proverbiale robustezza del “bufalo” di Mandello, almeno finchè non giunge nelle mani dell’attuale proprietario, Fabrizio Di Bella, la cui –allora- giovanile esuberanza, dopo l’ennesima serie di smanettate su strada e in pista, culmina in una rovinosa caduta sull’afalto bagnato. Con la carena rotta, manubrio piegato, serbatoio e scarico ammaccati, la Guzzi viene ricoverata in un box in attesa di trovare il budget necessario per ripararla. Ci rimarrà per oltre dieci anni, finchè il padre del “vandalo”, stanco di vederla arrugginire, commissiona il restauro al noto specialista Sabbadini, pure lui monzese, e che di Brambilla fu uno dei più qualificati contendenti sia in pista che su strada. Seguendo le indicazioni del cliente, si procede anche a una “civilizzazione”, che include uno scarico silenziato, un faro anteriore singolo invece dei due tipo endurance, frecce e addirittura gli specchi retrovisori. In questa pacifica veste la V7 Sport rimane per poco, perchè viene inaspettatamente restituita al figliuolo che alla “manetta”, col passare degli anni, giura di aver collegato anche il cervello, oltre a diventare lui stesso un apprezzato restauratore.



   



Rientrato in possesso della moto del suo idolo, Fabrizio decide di riportarla nella configurazione con la quale Vittorio l’aveva utilizzata quasi quarant’anni prima. Al due in uno viene quindi nuovamente abbinato il trombone semi-libero, mentre specchi e frecce finiscono al loro posto, ovvero su uno scaffale della sua officina di Breno (BS). Durante la messa a punto del motore, si scopre che ai tempi era stato preparato con dedizione maniacale: ogni organo in movimento è stato alleggerito, equilibrato e lucidato a specchio. Nei cilindri modificati dell’850 scorrono due pregiati pistoni Mahle, sviluppati dal preparatore Schnitzer per i propulsori BMW di Formula 2, nella quale correva e vinceva Brambilla all’epoca. Un altro classico sono la terna di ingranaggi della distribuzione in ergal e il cambio a rapporti ravvicinati, con la prima decisamente lunga. Nell’ atelier della Classic Farm vengono accuratamente revisionati anche freni e forcella, mentre al retrotreno una coppia di ammortizzatori Asatek prende il posto degli ormai flaccidi Sebac. Finalmente Fabrizio si decide a misurare la cilindrata effettiva, ma per motivi “sentimentali” decide di non rivelarne il valore. Pur considerando l’albero motore con corsa 70 - che consente di passare i 9.000 giri -  con un sorriso ammette che la cubatura del V7 è sufficiente a spingere la moto a 240 chilometri orari, o a circa 220 in due, a patto di trovare un passeggero abbastanza coraggioso… il famoso collegamento tra il cervello e la manetta, evidentemente è ancora a intermittenza!



 



L’incertezza sul riverniciare o meno il telaio nel rosso originale dura per varie settimane, ma alla fine si decide che il nero l’aveva scelto il Brambilla e così dovrà rimanere….







Un ringraziamento a




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